Descrizione

Il lavoro di Palmizi, con le sue Officine, si muove fin dall’inizio in un ambito a cavallo tra riflessioni ambientali unite a una spiccata verve ironica e la ricerca di immagini e forme legate all’arte americana.
Gli ambienti artistici milanesi, da cui parte la sua opera negli anni ’80, gli consegnano un ventaglio di forme e suggestioni che ancora oggi lo accompagnano.
Il prolifico background della capitale del design in quegli anni, che Palmizi vive da protagonista, le sperimentazioni di Memphis e Alchimia, le forti personalità di Ettore Sottsass e Alessandro Mendini aprono a tutti gli artisti e alle generazioni dei giovani designers un repertorio di nuovi decori e forme dove sono evidenti i riferimenti all’arte pop americana, rimandi che, se per alcuni sono evidenti e dichiarati, a tutti si offrono come forza liberatoria per modelli e forme che derivano dal dizionario infinito delle icone tratte dai paesaggi urbani, dalle interfacce dei sistemi di comunicazione delle metropolitane, della televisione, della pubblicità… repertorio che, nel decennio successivo con l’avvento di internet e poi di nuovi strumenti digitali, diventerà un quotidiano nuovo alfabeto iconografico per modi di comunicare allora impensabili.
Palmizi muove la sua ricerca tra arte e design, tra oggetto unico e possibilità, anche se remota, di una fattibile serie.
Attraverso i suoi oggetti riflette sul rapporto tra forma e funzione. I due termini sono da lui staccati, analizzati, vivisezionati nei due parametri, divaricati, amplificati e ingigantiti in una direzione o l’altra, e alla fine separati irrimediabilmente.
L’oggetto, delle Officine Palmizi, o perde la forma o la funzione,subendo un processo di scarnificazione, attraverso un doppio passaggio di decontestualizzazione della forma e di disconoscimento dell’uso, proponendoci nuovi oggetti, che non sempre sottostanno alle pratiche del redesign, che si propongono per nuove pratiche d’uso.
Il riconoscimento a Andy Warhol è l’omaggio verso questa pratica, che il grande maestro americano ha consegnato alla storia dell’arte e che ritroviamo in queste opere.
Le opere delle Officine Palmizi, ci conducono, grazie alla traslazione dei significati, verso lo spostamento del senso degli oggetti, che rifiutano la loro iconicità ed unicità, perchè, se pur proposti come unici, nell’idea sono ripetibili e riproducibili in serie illimitata.
I nuovi oggetti in mostra pur muovendosi da queste riflessioni ne pongono delle ulteriori. Il metodo è noto, ma il gioco si fa più complesso. La pratica qui si carica di nuovi significati, perchè l’oggetto smontato e ricomposto, per come abbiamo detto, si colloca nell’immaginario di nuove improbabili e visionarie forme possibili.
Questo è presentato, nella sua, sempre, doppia valenza, attraverso l’assemblaggio di elementi che possono avere, in questi casi, un’affinità d’uso.
La poltrona delle Officine Palmizi, che rimanda alla ” Proust ” di Alessandro Mendini, non si ferma al progetto decorativo del maestro milanese.
L’erba che la tappezza, è un’altra sfasatura, che introduce numerosi nuovi passaggi semantici. Ulteriori riflessioni e dualismi: interno ed esterno, dentro e fuori, naturale ed artificiale, chiuso e aperto.
Proprio come diceva Warhol: “la più eccitante attrazione è esercitata da due opposti che non si incontreranno mai”.

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