Descrizione

Per me riciclare è una necessità come lo è l’arte. Trasformare, riproporre la realtà evidenziandone le pieghe nascoste o inespresse.  Sono gli stessi oggetti e i materiali che me lo chiedono. Come “riciclista” sono figlia d’arte, ho preso da entrambi i genitori che riutilizzavano in mille modi oggetti, abiti e materiali in tempi in cui il riciclo era una necessità non una scelta. “Ricilartista”, cioè seguace devota dell’ArsRicicla a tutto tondo (vedi articolo https://www.marinkapockaj.com/ars-ricicla/), lo sono diventata dopo decenni di lavori artigianali e sperimentazioni di tutti i tipi. Quando, cioè, ho iniziato ad affinare la sensibilità, ad ascoltare il mondo che crediamo inanimato ed inerte degli oggetti e dei materiali, a sentire e guardare aldilà del valore nominale delle cose.

Le mie principali attività di ArsRicicla si incentrano su:

  • cartone lavorato come massa di “cartonpesto” (pasta di cartone) utilizzato come materiale plastico senza necessità di cottura e combinato con altri materiali o oggetti di scarto;
  • refashion di vecchi abiti, riuso di capi e stoffe di recupero (p.es vedi cappotto fatto di vecchi pantaloni jeans e la Vesta d’Officio fatta con 7 vecchie camicie);
  • opere che oltre al cartonpesto e al refashion utilizzano tecniche miste come lavoro a uncinetto e a maglia, macramè, punch needle, ricamo, chiacchierino, tessitura ecc. (p.es. vedi quadro con la cornice a cuore e quello con cornice rettangolare)
  • recentemente ho iniziato ad esplorare il riuso della carta straccia (p. es. vedi vaso con coperchio di bacchette di carta)

La sperimentazione continua, ovviamente, è un flusso che si rinnova ad ogni nuovo oggetto o materiale che incontro.

E di incontri si tratta, nel vero senso della parola. Così è stato per il cerchione che ho incontrato camminando per strada in centro e che è diventato un’installazione dal titolo “Automeridiana” con l’uso del cartonpesto, della carta straccia e dei bastoncini (usati) del caffè per asporto (Costa, Pret-a-manger, Starbucks ecc.).

Non più tardi di ieri, durante una lunga passeggiata domenicale nel bosco sono incappata in una trentina di metri di filo di acciaio, bello spesso, aggrovigliato e buttato nei cespugli al lato della carrareccia. Non mi sono fatta pregare. L’ho districato e riavvolto con la cura che si riserva alle lane, aiutata dal mio compagno benevolente e me lo sono portato a casa in zaino. Per farne che cosa? Non lo so, me lo dirà lui. Un fil di ferro così duro ed elastico parla di volume e struttura, anche di sostegno per altri materiali. Vedremo…